La Storia di Carlo – Capitolo Tre

La rianimazione si protrasse per 40 interminabili minuti, seguita dal collegamento ad una macchina “salvavita” -dico io- che si chiama E.C.M.O. (ExtraCorporeal Membrane Oxygenation), detta anche “polmone d’acciaio”. In qualche versione da Internet, ho addirittura trovato la seguente definizione: “macchina che mette la morte in standby, salva o fa sopravvivere ….persone di fatto già morte…”

(https://www.facebook.com/FABIVerona)

Non so quale sia la definizione più corretta, sta di fatto che questa benedetta ECMO, non presente peraltro in tutti i centri ospedalieri , mi permise di sopravvivere mentre i polmoni erano totalmente fuori uso.

In pratica, il sangue mi veniva prelevato e dirottato all’interno della macchina e successivamente reintrodotto completamente “riossigenato” e proprio perché il circolo era “esterno”, e quindi serviva più materiale, ho avuto bisogno anche in questa occasione di trasfusioni (dico anche perché precedentemente, avevo già avuto bisogno di questo trattamento, per aumentare l’emoglobina, che è l’incaricata al trasporto di ossigeno nel sangue).

Il trattamento durò nove giorni. Nel frattempo, le cure per sconfiggere i batteri cominciarono a fare effetto e, piano piano, sempre con alternanza di miglioramenti e pericolose ricadute, ricominciai a vivere “da solo”. Certo, ero pieno di tubi, cannette da tutte le parti, che servivano per introdurmi ossigeno, alimentazione, farmaci, per consentire frequenti drenaggi, ecc…Però ero vivo !!! Gli alti e bassi, angoscianti per chi mi seguiva, proseguirono anche nel mese successivo, si presentavano, mi dicono, qua e là dei piccoli risvegli (ma, come ho già detto, non me li ricordo…), poi però si rendevano necessarie nuove sedazioni per fronteggiare attacchi batterici, problemi respiratori, broncoscopie varie.

Un altro serio problema era dato dal fatto che non riuscivo a sincronizzare il mio ritmo respiratorio a quello del ventilatore. I medici ritenevano che dipendesse in massima parte dal mio stato di agitazione, per cui chiesero a mia moglie di rimanere anche delle ore al mio fianco (prassi peraltro inusuale nel reparto di terapia intensiva, dove le visite sono invece limitate per ovvi motivi), perché la sua presenza avrebbe potuto rendermi più tranquillo.

Iniziò così il periodo dello svezzamento, in cui giornalmente e per finestre temporali sempre più ampie, respiravo con un ventilatore sempre meno attivo, aiutato sia dalla tracheotomia (non avevo più uno scomodo tubo infilato in bocca…in questo modo riuscivo anche a spiaccicare qualche parola comprensibile, se la valvola fonatoria veniva regolata a quel fine ), che dalla fisioterapia polmonare praticatami da bravissime professioniste che hanno un ruolo fondamentale in questa fase così importante.

Il giorno in cui mia moglie entrò in stanza e mi vide per la prima volta senza ventilatore, solo con l’ossigeno infilato nel foro della tracheotomia, le dissi, convinto, che era tutto normale, dopo una SOLA 🙂 settimana di ospedale (i farmaci, si capisce, erano ancora belli tosti e non avevo ancora riacquistato la cognizione del tempo) !!!

In questo periodo potei così godere, se mi è qui permessa una nota di sorriso, della sua compagnia per buona parte della mia permanenza in quel reparto. Certo che, fuori della nota di sorriso, per lei non fu certo una vacanza, visto lo stato in cui versavo.

I miei ricordi si riaccendono non so quale giorno, siamo in luglio, c’è naturalmente mia moglie accanto a me, il viso dolce e provatissimo, mi sta parlando (come ha sempre fatto in tutto il periodo di sedazione ), sono sempre in Borgo Trento, Terapia intensiva generale.

Mi sono svegliato dal lungo sonno, pensavo fossero trascorsi pochi giorni, erano passati dei mesi…

Di lì in poi, si può dire che grossi problemi (sempre se rapportati ai precedenti) non vi siano più stati, eccetto qualche inconveniente di percorso (un po’ d’acqua nel polmoni, per esempio, od il collasso di un polmone, giusto per allarmare un po’ quelli che potessero ancora avere voglia di thriller…). Eppure fino alla fine di questo periodo non si era potuta ancora escludere la possibilità di un eventuale trapianto di polmoni, perché non si poteva ancora sapere con ragionevole certezza quale recupero il mio fisico consentisse.