La Storia di Carlo – Capitolo Uno

Questa mia storia inizia il giorno di Pasquetta (13 aprile) di quest’anno, il 2020, quello che certamente passerà tristemente alla storia come l’ ”anno della pandemia mondiale”. Qualche linea di febbre, che si presenta durante la notte, una febbre “solitaria”, non la accompagnano né tosse, né mal di gola.

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Strana e sospetta, perché il giorno dopo vengo a sapere che alcuni colleghi, con cui avevo lavorato la settimana precedente, hanno pure loro la febbre.

Ricordo che all’epoca si viveva in regime di “lock down”, il coronavirus imperversava, sembrava un po’ che nell’aria il virus girasse in cerca di vittime. Mentre negli ospedali si cercava di trovare le contromisure più efficaci per combattere l’epidemia, i medici di base, la guardia medica e lo stesso 118, seguendo le direttive del sistema sanitario nazionale, tendevano ad impedire che una gran massa di “semplici febbricitanti” invadessero i pronti soccorso, per cui si prescrivevano per cure al domicilio antipiretici e, in taluni casi, come nel mio, antibiotici.

Per gli “inconsapevoli positivi”, l’inadeguatezza del trattamento poteva rappresentare un elemento di fondamentale importanza per l’evolversi della malattia, potendo portare ad aggravamenti se non addirittura al decesso.

Sta di fatto che io, dopo più di una settimana, sono sempre a casa, in prudenziale “isolamento domestico”, ma ancora non so se ho il coronavirus oppure no.

Forse quelli che si recavano di propria iniziativa al pronto soccorso per sottoporsi a tampone (c’erano…), pur non rispettando la regola, avevano alla fine una risposta che, per quanti attendevano i tempi della prevista prenotazione tramite Sisp (Servizio Igiene Sanità Pubblica), era sicuramente molto più tardiva.

Mia moglie comunque, seguendo le direttive del medico, prenota subito il tampone –secondo protocollo, e quindi telefonando al Sisp- per il primo giorno utile: il 25 di aprile !!

Ma prima di quella data la febbre inizia a salire, la moglie si consulta continuamente col medico che invece la rassicura. L’ultima notte a casa trascorre piuttosto agitata. Mia moglie, bardata meglio che può, entra in camera per controllarmi. Arriva il mattino del 23 e sempre lei si accorge che “respiro con la pancia”. Nonostante io continui ad asserire di non avere particolari difficoltà respiratorie, capisce che è giunto il momento di chiamare il 118.

La chiamata si rivelerà certo determinante ai fini della mia salvezza. In realtà, avessimo aspettato mezza giornata, probabilmente non sarei mai arrivato vivo all’ospedale.

Scendo con le mie gambe i tre piani di casa, la saturazione è comunque buona (95), ma da quando salgo in ambulanza, destinazione Borgo Roma, Policlinico, i miei ricordi si offuscano, anche se al mio arrivo mi definiscono “collaborativo”.

Per me, qui cala il sipario, per rialzarsi soltanto oltre due mesi e mezzo più tardi, nel reparto di Terapia Intensiva di Borgo Trento.

La diagnosi fu poi infezione da Sars Cov 2, con 5/6 dei polmoni già fuori uso.

Tutto ciò che accadde nei 2 mesi e mezzo seguenti (di cui circa 10 giorni in Borgo Roma, poi in Borgo Trento) mi è stato successivamente riferito da mia moglie e, in parte, da figlio e parenti, che hanno vissuto dei momenti di assoluta drammaticità, due mesi e mezzo in cui mi si dice che ogni tanto riaprivo gli occhi ( grazie alla riduzione dei sedativi) e sembravo comunicare, ma io non ricordo nulla.

A dire il vero, di quel lungo periodo dei ricordi li ho. Le più o meno false realtà che sono i sogni. Tanti sogni… servirebbe un capitolo a parte per raccontarli, anche se gli episodi stanno via via scomparendo dalla mia mente. Dirò qui solo che si trattava di situazioni sempre intricate, inquietanti, con dei chiari richiami alla vita “vera” , spunti presi magari nei momenti in cui ero “mezzo cosciente” se veniva ridotta la sedazione, oppure da esperienze vissute nella vita mia vita prima del ricovero.